Tanta, tantissima “roba” le creste dei Sibillini, regalano sempre percorsi ariosi e panorami intriganti, le lunghe dorsali tutte
connesse le une con le altre, le valli profonde in mezzo, i valichi che ti consegnano al versante successivo, portano a disegnare
il territorio in testa, che già conosci ma che ogni volta riesplori facendo tornare fuori vecchi ricordi; chi corre più veloce su
queste lame sospese tra cielo e terra, l’occhio o i ricordi che i tanti profili fanno risalire inevitabilmente a galla? Il pilastro
del Pizzo del Diavolo si alza ruvido, visibile da tutto il versante Est, inevitabilmente ti porta sulle sponde del laghetto di Pilato
ai suoi piedi, così Forca Viola, la testa è già dalla parte opposta ad ammirare la vastità della piana di Castelluccio… Ed oggi che
appunto siamo sul versante Est dei Sibillini i contrasti aumentano ed esplodono quando l’occhio si perde sulle colline marchigiane
fino all’azzurro del mare; il territorio molto ondulato disegna un patchwork che si armonizza via via che ci si allontana dalle montagne
e ci si avvicina al mare, dopo il primo tappeto scuro della boscaglia che copre il pre Appennino, appezzamenti piccoli e regolari
disegnano una campagna minuziosamente utilizzata, filari di alberi o piccoli residui di boscaglia dividono con geometria esasperata
piccole coltivazioni di foraggi o cereali, borghi di poche case e piccoli paesi armoniosi lo puntellano, le geometrie dorate delle
stoppie, residuo delle raccolte del frumento, si intensificano via via che l’occhio raggiunge il mare, oggi di uno splendido colore
azzurro. Il Conero, pur lontano e pur confuso nella caligine, interrompe la linea della costa. C’è armonia davanti a noi, da quassù
le bassezze umane spariscono, i dolori, le incongruenze della vita di tutti i giorni sembrano non poter esistere ed almeno per pochi
momenti è solo poesia. Le Marche!
In quaranta minuti di auto raggiungiamo Altino, un borgo a 1000 metri di quota che lentamente si sta rialzando dalla botta del terremoto
del 2016; dietro il rifugio l’incrocio da cui parte il sentiero per il monte Banditello, lo si pende a destra, se si va diritti si
prende il GAS direzione Colle, Santa Maria in Pantano; un centinaio di metri ad un uovo incrocio e senza segnaletica presente si
continua sulla sinistra sull’ampia carrareccia che non si abbandona più. Una serie di svolte e tornanti fanno salire lentamente di
quota fino ad una ampia spianata su cui sorge uno stazzo e che è chiusa da recinto, ricordarsi piuttosto di chiuderlo una volta dentro
perché è zona di cavalli al pascolo. Poco oltre lo stazzo, un omino indica la direzione anche se basta seguire le tracce brecciose, si
confluisce su una nuova ampia traccia che si inoltra con lunghi traversi e varie svolte sui prati di Altino, le ripide coste del Banditello
che di piano non hanno nulla. La traccia si restringe e diventa sentiero, attraversa prima e poi costeggia una bassa faggeta fino ad uscirne
definitivamente e arrivare su una meravigliosa terrazza, la Sibilla con i suoi fianchi scoscesi e le brutte ferite della strada che arriva
fin quasi in vetta è sempre “ingombrante”.
L’uscita sulla dorsale (+1,30 ore) quasi a 1600m, nell’unico breve tratto pianeggiante è strepitosa; una lingua erbosa che precipita pochi
passi più in là sulla valle dell’Aso, la dorsale che dalla Sibilla arriva al Porche di fronte non finisce mai, davanti il vallone del fosso
Zappacenere sale fino al Sasso di Palazzo Borghese, vero muro dolomitico che attira più di tutti l’attenzione.
Da qui la salita al Banditello è un muro tanto è ripida, una piccola traccia ma evidentissima segue il filo del crinale erboso, e con un paio
di salti consecutivi si raggiunge quota 1800, Cima della Prata è la davanti cinquanta metri più alta, le cime del Vettore e del Redentore gli
fanno corona tutto intorno, inizia qui (+50 min.) il tratto più interessante e panoramico dell’intera escursione che continua con modesti sali
e scendi a superare e aggirare le piccole cime di cui è composta la dorsale. La cima del Banditello (+30 min) è una delle ultime elevazioni,
meno pronunciata di altre, ma a parte l’anacronismo del punto geografico è tutta la dorsale di questa montagna che sorprende per la sua bellezza
e le continue e mai uguali viste su tutte le montagne di questo versante; le panoramiche a molti non piacciono, fanno perdere profondità, io non
finisco più di farne; dal Vettore al Redentore per passare dall’Argentella al Sasso Borghese fino alla Sibilla e alla Priora, dietro e più lontana,
ci sono tutte in un susseguirsi di profili e dorsali impressionante, una vista pazzesca. La traccia scivola facile su prati verdissimi e popolati
da miriadi di Garofani, quasi gli unici fiori in questo periodo che è possibile vedere; sostiamo sotto il Banditello prima di scendere alla poco
pronunciata sella sottostante, crocevia di sentieri che attraversano letteralmente la dorsale in larghezza e in lunghezza; riparte in salita la
traccia di cresta che porta alla cima più alta del gruppo, il monte Vettore. Con cambi di pendenza superiamo i circa centocinquanta metri di dislivello,
una piccola piramide appuntita che in lontananza sembrava ostile è poco più che uno sperone percorribile interamente sul crinale e comunque aggirabile
sulla sinistra, la vetta del Sasso d’Andrè è duecento metri davanti, sarà la quota più alta della giornata (2100m + 1,15 ore).
Rinunciamo la salita al Vettore, oggi non abbiamo gamba per aggiungere altri 400 metri di dislivello oltre i 1200 già superati, è un peccato ma abbiamo
imparato che se subentra la stanchezza il divertimento finisce e ci prendiamo una bella sosta su questo scomodo sperone roccioso.
La luce di questa giornata e la limpidezza dell’aria permettono orizzonti vastissimi, il versante Nord del Vettore, il famoso imbuto, per sfondo ha le
linee del Corno Grande e quelle della cresta fino al Camicia, oltre che quelle della Laga; dietro la poco pronunciata cima di monte Torrone (molti la
confondono con quella più netta e alta circa a metà della cresta che sale al Vettore) svetta il roccioso torrione del Pizzo del Diavolo e ancora dietro
quella di cima del Redentore… e così via con gli stessi panorami della mattina visti da una prospettiva un po’ diversa. Tutto così familiare, eppure
tutto così incredibilmente unico, l’occhio non sa dove fermarsi.
Si stanno intensificando le nuvole, cumuli corsieri, prima piccoli cuscini poi dei veri e propri fronti compatti, un gioco di luci e ombre accendono il
verde dei prati e risaltano i grigi ghiaioni che scendono un po’ da tutti i versanti, finisco per ripetere un sacco di foto, con la scusa del digitale
si fanno per avere scelta ma so già che finiranno per rimanere tutte quante.
Ad Est il lago di Gerosa è una gemma verde smeraldo, è immerso nei boschi non disturba la linea netta della diga che lo chiude ad Est; a ben guardare oggi
è facilmente distinguibile la città di Ascoli Piceno, nel punto dove termina la dorsale che scende dal monte dei Fiori le pianta della città del travertino,
i tetti, le torri, i più moderni grattacieli sono inconfondibili, col sole che sta girando anche il mare diventa sempre più azzurro, insomma non abbiamo
nessuna voglia di scendere.
Il rientro lo preferiamo per la stessa via di salita, rinunciamo a scendere a Santa Maria in Pantano per rientrare dal G.A.S. e anche se ci sarà altro
dislivello rifaremo per intero la dorsale del Banditello, non avremmo mai voluto staccarci da questi panorami.
Struggente la discesa da Cima della Prata, per le ginocchia ma soprattutto perché i toni del pomeriggio accendevano ancora di più i chiaro scuri delle
colline sottostanti; davvero quadri di una bellezza infinta.
Altino quando arriviamo (+ 2 ore) è semideserto, ci aspettavamo la solita calca al rifugio e invece nulla di questo, anche i chiassosi boy scout che
alloggiavano li vicino se ne erano andati, la nostra auto era rimasta quasi l’unica parcheggiata. Stanchi e affamati riprendiamo la via polverosa che
ci riporta a casa; siamo più leggeri perché un pezzo di noi lo abbiamo lasciato lassù.